Bosnia Erzegovina
Un pastore, incontrato durante un sopralluogo sull’altopiano della Romanija, ci indica sulla cartografia i punti di alcune interessanti risorgenti. Questo piacevole incontro ci ha fatto capire l’estrema conoscenza dei sistemi idrici locali (assorbente e risorgente), pur non risultando così dettagliatamente dalle ricerche bibliografiche effettuate in previsione delle campagne esplorative. (S.Magagnoli)
La Bosnia Erzegovina pur essendo al centro dell’Europa è ancora uno dei territori più inesplorati a livello speleologico. Dal 2007 varie spedizioni organizzate in collaborazione fra speleologi italiani e bosniaci hanno contribuito a portare un po’ di buio balcanico alla luce del sole.
Il paese
La Bosnia Erzegovina è uno Stato nato nel 1992, in seguito al processo di disgregazione della ex Yugoslavia. Al suo interno esistono due entità separate, quella serba e quella croato-musulmana, che esprimono un governo rappresentativo delle tre maggiori etnie: serba, bosgnacca-musulmana e croata. Il paese ha una superficie costituita in maggioranza da rocce carbonatiche, appartenenti alle Alpi Dinariche, per un’estensione pari al 65% del territorio (principalmente concentrate nelle Dinaridi esterne). In passato le campagne esplorative internazionali si sono concentrate principalmente sulle Alpi Dinariche e in Erzegovina mentre nel resto della Bosnia poco è stato documentato. La guerra ha infatti fermato le ricerche speleologiche all’inizio degli anni ’90, mentre le vicende post-belliche non hanno favorito lo svilupparsi di una nuova leva di speleologi, in quanto il paese si trova in una perdurante crisi politica ed economica in cui le necessità primarie hanno il sopravvento. Lo splendido scenario naturalistico della Bosnia Erzegovina, che ben si presterebbe all’avvio di attività turistico-sportive e quindi al rilancio economico delle zone più fortemente disastrate, si trova a dover fare i conti con l’eredità post-bellica dei campi minati. Una barriera virtuale per il cui abbattimento sono previsti oltre novant’anni. Un lasso di tempo inaccettabile per un Paese che ha solo bisogno di riscattarsi per fare pace con il passato.
Speleologia in Bosnia Erzegovina
Nonostante una tradizione speleologica notevole, ereditata principalmente dal periodo Austro-Ungarico, l’associazionismo speleologico in Bosnia è carente, sia come iscritti sia come materiali, e stenta a riprendersi dopo gli ultimi eventi bellici. Questa è una ragione aggiuntiva per cui la collaborazione con i pochi speleologi locali rimasti in attività (qualche decina) è di vitale importanza. Tra i gruppi ancora attivi vi sono Speleo Dodo (Sarajevo), Atom (Zavidovici), Ponir e Netopir (Banja Luka), Eko-Viking (Visoko) e Zelena Brda (Trebinje). Vi è inoltre una Società Speleologica Bosniaca la cui funzione è però notevolmente limitata. Nel 2007 è stato aperto un centro di ricerche ufficiale per l’ambiente carsico all’interno dell’Accademia delle Scienze ed Arti (ANUBiH) nel quale è confluita la banca dati del catasto speleologico bosniaco creato nel 2006 (Mulaomerovic et al., 2006). Attualmente non vi sono pubblicazioni periodiche di carattere speleologico. L’ultimo numero di Nas Krs, la rivista del gruppo Bosansko Herzegovacki krs, è dell’anno 2002. Per l’entità Republika Srpska esiste un libro (Dujakovic, 2004) in doppia lingua, serbo e inglese, che descrive le principali grotte ed allega in appendice un elenco di esse basato sugli archivi del gruppo Ponir di Banja Luka. Per l’area attorno a Sarajevo si può fare riferimento al vecchio catasto del 1984 (Speleolosko Drustvo “Bosansko-Hercegovacki Krs”, 1984). Ogni anno, in Aprile, viene organizzato a Zavidovici l’incontro nazionale di speleologia.
Le ricerche internazionali
Dal 2002 è iniziata una proficua collaborazione tra alcuni gruppi italiani (GGN Novara e G.S.C. di Tolmezzo) e bosniaci. Le prime esplorazioni condotte hanno dato come principali risultati l’esplorazione del Ponor Novara, nel Parco Naturale di Tajan, e della Grotta di Golubovici. All’interno di questo contesto, a partire dal 2007 sono iniziate, prima sporadicamente e poi con sempre più entusiasmo ed impegno, le esplorazioni di una grotta situata a una trentina di chilometri a Nord Est della città di Sarajevo, la sorgente della Miljacka. Culmine di queste indagini è stata la spedizione del 2008, organizzata dal G.S.B.– U.S.B. di Bologna e Gruppo Grotte Novara che, oltre alla grotta in questione, aveva lo scopo di perlustrare gli altipiani del Visocica e il canyon del Rakitnica. Nella Miljacka, nel 2009, speleologi bosniaci e croati hanno esplorato nuovi rami, mentre la collaborazione italo-bosniaca ha portato ad alcuni brevi campi organizzati per concludere le esplorazioni di rami secondari, verificare segnalazioni di nuove grotte e portare a termine altre attività di documentazione e studio iniziate in precedenza. Alla fine delle esplorazioni, la Miljacka è diventata la seconda cavità della Bosnia con oltre sette chilometri di sviluppo. Nel 2010 una rinnovata affluenza di speleologi da Bologna e Novara ha consentito di spostare l’attenzione verso altre grotte sorgenti e di intensificare le ricerche sull’altopiano della Visocica, dove sono ormai decine le cavità esplorate, tutte ad andamento prevalentemente verticale. Con varie spedizioni compiute nel 2011, 2012 e 2013 si è esplorata e rilevata quella che, ad oggi, è la più estesa cavità in Bosnia: Govještica.
I risultati di tutte queste esplorazioni si trovano in lingua italiana nelle seguenti pubblicazioni:
- Speleologia 61 (SSI)
- Labirinti 25, 26, 27, 28 (GGN)
- Sottoterra 127, 128, 129, 130, 131, 133, 135 (GSB-USB)
- Grotte 148 (GSP)
- Grottesco 55 (GGM).
Pazi Mine
Per quanto riguarda la scelta delle zone in cui orientare le ricerche occorre considerare il pericolo della presenza delle mine.
Durante l’ultimo conflitto, gli eserciti contrapposti hanno fatto largo uso di mine antiuomo. Finita la guerra sono state disegnate mappe delle zone minate, che vengono continuamente aggiornate, in quanto inizialmente poco affidabili. L’opera di sminamento procede a rilento: le moderne mine non sono più rilevabili con i classici metal detector, perché costruite con materiali plastici. Il modo più efficace per individuarle è addestrare cani che fiutino l’esplosivo. Ciò nonostante con l’andar del tempo, gli incidenti dovuti a scoppi di ordigni si sono notevolmente ridotti e le carte dei campi minati hanno raggiunto un buon grado di affidabilità. È comunque buona norma informarsi prima di uscire dai percorsi più battuti.