Grotta della Spipola
Scoperta nel 1932 dal GSB. L’ingresso naturale si apriva 28 m più in alto, con una cavità costituita da due stretti pozzi, nota con il nome di “Bus d’la Speppla, o Buco del Calzolaio”. Giorgio Trebbi (della SSI) vi era già disceso nel 1903, senza trovare prosecuzione alla base del secondo salto.
Trent’anni più tardi, il 22 novembre 1932, una squadra del GSB, costituita da Luigi Fantini, Vico e Giulio Greggio, Giuseppe Loreta ed Antonio Forti disostruisce la frana di argilla e massi che occupa il fondo del Buco del Calzolaio e riesce a penetrare in quella che – dopo anni di ostinate ricerche – potrà essere definita come la sezione mediana del grande Sistema carsico “Acquafredda-Spipola-Prete Santo”, che, con i suoi oltre 11 Km di sviluppo, è ancora oggi il più esteso nei Gessi dell’Europa occidentale.
Nel 1933, al termine di una serie di possenti disostruzioni, il GSB completa l’esplorazione della Grotta, fino alla sua Risorgente (Buco del Prete Santo), per un insieme di circa 4 km.
Nel 1934 viene scoperto un pertugio, che si apre quasi sul fondo della Dolina della Spipola e che consente di accedere alla Grotta senza percorrere i pozzi ed i cunicoli del Calzolaio.
In breve tempo la notizia della possibilità di entrarvi senza la necessità di attrezzature e senza affrontare i temibili cunicoli dell’ingresso alto si sparge nella città e la Spipola diviene mèta di frequenti visite da parte di curiosi, sprovveduti e vandali. Ha così inizio il fatale processo di predazione delle concrezioni, il proliferare delle scritte con i nomi, i ripetuti interventi di Fantini e dei Vigili del fuoco per riportare all’esterno chi vi si è smarrito o chi è rimasto al buio.
Nel 1935, con l’unico intento di salvaguardare la cavità, il Gruppo intraprende i lavori per renderla accessibile ai turisti mediante visite guidate. Viene minata la base del Buco del Calzolaio, chiusa la fessura che costituiva l’ingresso basso ed aperta artificialmente l’attuale “porta”, munita di un cancello in ferro. All’interno si costruiscono tre rampe di gradini nel gesso vivo, che superano i dislivelli più marcati, si ampliano (con la pentrite e gli scalpelli) i passaggi più bassi o ristretti e si scava un lungo sentiero nei sedimenti, che consente di attraversare in alto il lungo Salone del Fango, senza entrare nell’acqua. L’ultima impresa è costituita dallo scavo del cunicolo di 40 m, che collega la Galleria della Dolina Interna al Salone G.Giordani.
Due anni di lavori, che si concludono all’esterno, con il tracciamento di un comodo sentiero e la costruzione di un vasto ripiano nella roccia, antistante al cancello. Il 22.11.1936 , quarto anniversario della scoperta della Grotta, il Resto del Carlino dà l’annuncio della cerimonia d’inaugurazione della “nuova gemma turistica”. Grandi i festeggiamenti tributati al Gruppo ed in particolare a Luigi Fantini, che il Presidente dell’EPT, convinto assertore dell’iniziativa, apostrofa come ” quel ch’l’à inventé la Speppla” .
Chi oggi si rechi per la prima volta alla Spipola, esattamente come uno speleologo disattento, può non far caso all’enormità dell’impresa portata a termine dal GSB lungo i primi 700 m della grotta: un’impresa compiuta con mezzi artigianali ed un incredibile e lungo dispendio di energie da parte di una decina di speleologi e di due soli “fuochini”. L.Fantini il 19.06.1935 contabilizza in un foglio il costo dell’opera in lire 2.189,10 “per le paghe e l’assicurazione dei minatori, l’acquisto delle polveri, del cancello, degli attrezzi, ecc.” Il contributo erogato dall’EPT fu certamente inferiore, in quanto vi si annota: “sborsate in più da Fantini lire 189,10”.
Risulta peraltro che negli anni a venire, fino alla guerra, le visite furono guidate solo da Fantini, che vi accompagnò personalmente alcune centinaia di Bolognesi. Un nuovo gravissimo attacco all’integrità della Spipola sopravviene proprio verso la fine della guerra, quando la grotta ospita (come molte altre nell’area, più accessibili in quanto più vicine agli abitati, ma tutte utilizzate per sfuggire alle requisizioni ed ai bombardamenti) forse 100 o 200 “sfollati”. Questi sventurati si stanziano con i loro pagliericci, gli attrezzi da cucina e le loro povere cose, lungo i primi vani, ma soprattutto verso il fondo del Salone del Fango, in cui scavano nicchie per le lampade e giacilii. Le condizioni igieniche dovevano essere davvero deplorevoli, aggravate dal fatto che erano stati portati in grotta anche parecchi animali da cortile, che all’esterno costituivano una preda assai ambita.
Si sa che nella Grotta Coralupi si verificarono casi di difterite, ma si ignora se questa sia stata la causa della fuga dei rifugiati anche dalla Spipola, o abbia prevalso la situazione di pesante disagio. E’ certo che, durante la permanenza in grotta, a qualcuno di essi viene in mente di ingannare il tempo e raggranellare qualche soldo, cavando a colpi di scalpello l’alabastro della “Colata” per scolpire posaceneri o altri oggetti.
A completare lo scempio, negli anni del dopoguerra – e questa volta non più per necessità, ma per schietta ignoranza – penseranno i visitatori, ritornati a frequentare la Spipola, ormai priva del cancello. Scompare perfino la lapide montata nel 1936, che aveva l’innocente torto di essere “datata” da un minuscolo fascio.
Nel 1962, in occasione del trentennale della scoperta, il GSB-SCB riesce a rimontare una nuova lapide sopra l’ingresso, che rende anonimo omaggio ai “primi esploratori” della Grotta. In città il clima speleo è acceso, c’è ancora in giro qualche dissidente degli anni ’30 e ’50 e si reputa prudente non far nomi. Su pressione dell’Unione Bolognese Naturalisti e dei Gruppi Speleologici, il 23.10.1965 il Ministero della Pubblica Istruzione approva il vincolo paesaggistico sull’area della Croara. Disgraziatamente la cavità protetta, per una svista, diventa nel testo della Gazzetta Ufficiale “la meravigliosa grotta della Spinola”, forse un grottone marino del Salento.
Si concretizza proprio in quel periodo, per la Spipola, una minaccia ancor più insidiosa dei vandalismi: quella dell’annientamento da parte di due industrie estrattive, che procedono sia da monte del Sistema (Cava IECME), che da valle (Cava Ghelli).
A monte la IECME riesce a distruggere gran parte di Monte Croara e delle sue grotte, deturpando la splendida Valle cieca dell’Acquafredda e scaricando lo sterile all’interno del Rio omonimo, che scompare nell’Inghiottitoio ed attraversa la Spipola. Il regime del torrente sotterraneo ne risulterà sconvolto per decenni.
A valle, presso il T.Sàvena, la Cava Ghelli seziona la Risorgente dell’Acquafredda, fa saltare e distrugge in parte il Buco del Prete Santo e riesce – due anni dopo l’ordine di cessazione dei lavori di cava, nel 1979 – a provocare con le sue esplosioni sotterranee risentimenti statici dentro la Spipola, fin sul fondo del Salone G.Giordani.
Nel 1980 pare definitivamente chiuso il problema fondamentale delle cave di gesso, anche se nel 1984 è ancora aperta la Cava a Filo, ma solo perché nel PAE di S.Lazzaro risulta iscritta come cava “di granito”. Resta fortunatamente solo la jattura dei collezionisti di mineralizzazioni, delle scritte sulle pareti (non più con nerofumo, ma con vernice spray) e delle montagne di pattume, che i visitatori depositano sistematicamente in grotta e che gli speleologi si sono presi autonomamente la briga di ripulire, dal 1970 in poi.
Nell’ ’82 GSB ed USB, con l’appoggio della FSRER e della Società Speleologica Italiana, tentano di scuotere le Amministrazioni locali, affinché adottino provvedimenti atti a proteggere la Grotta. Si progettano anche la porta in ferro ed i passanti per i pipistrelli. Tutti concordano sul fatto che si tratti di un’ottima idea, che siamo spronati a realizzare quanto prima, con la benedizione di tutti, proprietario del terreno escluso.
Nel 1988, dopo quattro anni di sofferta gestazione, la Regione E.R. dà alla luce il Parco dei Gessi Bolognesi. Come si sa, con l’Ambiente non c’è fretta, tanto che ci vorranno altri sette anni per poter disporre di uno strumento fondamentale come il Piano Territoriale. In tale fiduciosa attesa GSB ed USB presentano il vecchio progetto di chiusura e di gestione della Spipola al Parco, che – con tutte le grane che accompagnano l’iter di avviamento – potrà approvarlo ed erogare un contributo per la sua realizzazione solo alla fine del 1994. L’opera viene conclusa nel 1995, con 438 ore di lavoro complessive, distribuite in 11 giorni. Il Presidente, la sera dell’inaugurazione (20.02.1995), pronuncerà quello che noi interpretammo allora come un encomio indirizzato agli Speleologi Bolognesi: “Questi interventi hanno confermato ieri ed attestano oggi, con la semplicità e la forza della concretezza, la profonda differenza fra l’auspicare e l’agire, la netta distinzione fra il dire ed il fare nel campo della tutela dell’ambiente, che par vivere e muore di proposte e vaghe teorizzazioni”.