Quattro giorni nelle profondità del Dachstein
Località: Hirlatzhöhle, Dachstein, Hallstatt (Austria)
Partecipanti: Luca Pisani (GSB-USB), Lukas Plan (Università di Vienna), Gabriella Koltai (Università di Innsbruck), Gottfried Buchegger (Gruppo speleo Hallstatt-Obertrau), Andreas Idam (ragazzino local di Hallstatt)
Piacevole gita di 4 giorni con bivacchi interni nelle regioni orientali della maestosa Hirlatzhöhle, terza grotta più lunga dell’Austria (oltre 115 km di sviluppo, profonda 1560 m). Entriamo il venerdì pomeriggio, usciremo il lunedì pomeriggio dopo forse una trentina di km di percorsi accumulati, per un sali-scendi complessivo di almeno 1300-1400 m di dislivello. Fatte osservazioni geomorfologiche, foto documentative e trasportato materiale al Wolken Biwack per una spedizione futura che il gruppo locale farà a gennaio 2022.
Per motivi di lavoro sono in Austria fino a febbraio 2022 e per l’occasione sono stato invitato da alcuni amici speleo e colleghi (Lukas Plan e Gabriella Koltai) ad unirmi in questa spedizione che si preannuncia come un piacevole e poco faticoso trekking sotterraneo nell’enorme Hirlatzhohle. Si erano però dimenticati di aggiungere l’aggettivo “SURREALE”.
Arrivati al parcheggio, incontriamo gli altri compagni di questo viaggio: Gottfried, uno speleo locale che sarà stato almeno un migliaio di volte in questa grotta, e Andreas, ragazzino equipaggiato con sola felpa e salopette da pescatore, con tutta la carica che io ho già perso guardando la salita che ci tocca per raggiungere l’ingresso. Scoprirò poi dopo qualche ora che per lui è la prima attività speleologica (escluse grotte turistiche) e questo non mi passerà dalla testa fino al momento in cui usciremo quattro giorni dopo.
Già dal parcheggio capisco che mi aspetta qualcosa di incredibile. Ho in mente una vaga forma del rilievo della grotta, guardo le immense pareti che si stagliano di fronte a me sopra il Lago di Hallstatt e non riesco a non fantasticare su come essa si snodi all’interno della montagna per oltre 110 km.
Partiamo in leggera salita, immersi nell’odore delle foglie bagnate del bosco e su un comodo sentiero che via via diventa sempre più ripido. Trecento metri di dislivello ci separano dall’ingresso, che riusciamo a scorgere in lontananza solo per poco tempo prima che faccia buio. Ha la tipica forma di serratura… un enorme buco nero in una liscia parete di calcari grigi. Gli ultimi metri del sentiero diventano più esposti e infine con una scalinata metallica infissa entriamo nel condotto di ingresso, immersi in una gelida corrente d’aria devastante.
La temperatura interna è di 3°C circa. Il vento ci accompagna per tutto il percorso. Con noi portiamo dei pesantissimi sacchi con tutto il materiale per dormire dentro, cibo, fornelli, gas, acqua a sufficienza (per fortuna quella interna è frequente e potabile), del materiale di armo da lasciare all’ultimo campo base, e l’imbrago con le sole longe. Mi hanno detto che tutto il percorso è quasi esclusivamente camminabile, con al massimo qualche passaggio in stile ferrata…. affermazione che verrà smentita nella prima ora di progressione: un costante sali e scendi tra pozzi e traversi attrezzati con ferle, cordacce, e scale da ferramenta fissate alle pareti, intervallate a gallerie enormi.
Mi dicono che queste sono le più piccole. Stento a immaginare cosa possa aspettarmi dopo.
Ponti e scale fisse accompagnano la progressione (foto di G. Buchegger) Salita lungo i pozzi (foto di G. Buchegger)
Arriviamo ad un camino unico da 35 m, ovviamente armato con scale, dove consigliano finalmente di mettersi l’imbrago (fino ad ora secondo loro non serviva….). Questa volta c’è anche una corda di sicura e io ho con me anche un bloccante portato per ogni evenienza… con più sicurezza affronto la salita e vedo che la via continua imperterrita a salire. Quando cazzo finiscono le scale??? Intorno a me le pareti iniziano ad essere sempre più distanti e terminata l’ultima rampa ci troviamo su un ripido pendio che si riaffaccia sull’enorme sfondarione. Con un sorriso drammatico Lukas mi avvisa che ora arriva il bello.
Sotto di noi abbiamo il pozzone di circa 70 m che abbiamo risalito, passiamo un lungo traverso armato con cordaccia di canapa e mi volto. Una passerella stile ponte di Khazad-Dum larga circa 40-50 cm attraversa tutto lo sfondarione fino a raggiungere la parete dall’altro lato, a circa una ventina di metri di distanza, dove ovviamente riparte una serie di scale Leroy-Merlin inchiodate al muro. Difficile descrivere le emozioni… una sola corda tesa funge da sicura per il passaggio sull’esile passerella.
Procedo cercando di non sprecare energie ed evitando di pensare che è tutto fuori da qualsiasi logica, ma gli ambienti sono così assurdamente enormi e imponenti da togliere il respiro. Superata un’altra trentina di metri in salita mi dicono che possiamo lasciare gli imbraghi qui, ne porteremo uno solo con noi in caso servisse. Annebbiato dall’adrenalina e dalla fatica lascio tutto l’imbrago sul luogo, per poi proseguire imperterriti in un lungo cammino: finalmente tornano le gallerie. Maestose, col pavimento riempito da argilla o sabbia, marmitte, karren degni del carso triestino sulle pareti delle gallerie, loop freatici con ripidi sali e scendi, e ancora, gallerie gallerie, sale gigantesche, salite, discese nel fango, scale scale e ancora scale, traversi esposti (ma l’imbrago non avevate detto che non serviva più?), armi brutti, corde lesionate, fatica, ok c’è tutto.
Canyon fossile (foto di L. Plan) Galleria con forme di dissoluzione (foto di L. Plan) Ampia galleria con scorrimento idrico (foto di L. Plan)
Siamo a quattro ore dall’ingresso e finalmente arriviamo nel primo bivacco dove dormiremo per questa notte: acqua, qualche fornello e una serie di materassini sono sul posto, una gigantesca galleria con pavimento di argilla compatta.
La notte passa serena nonostante il freddo e l’umidità che la mattina dopo impregna tutti i nostri sacchi a pelo e vestiti. Il giorno seguente ci tocca il doppio della strada (e della fatica) fatta per arrivare al primo bivacco. I sacchi sono ancora pesanti e si fanno sentire lungo gli ennesimi ed infiniti sali-scendi (sempre tutto armato con corde a manoni, scale o ferle) tra gallerie diverse. Facciamo un lungo giro nei rami orientali della grotta con qualche deviazione per vedere altre gallerie e canyon. Roba impressionante, mai visto nulla di simile per dimensioni. La via è infinita, fortunatamente intervalliamo la progressione con svariate pause cibo e tè.
Dopo oltre 11 ore di progressione arriviamo al secondo bivacco (Wolken Biwack) che sarà la nostra casa per le prossime due notti. Qui l’ambiente è un pelo più secco per fortuna. Il sabato sera sono davvero cotto e inizio a fantasticare su dove mi trovo, a concretizzare sempre di più nella mia mente la distanza e tutta la strada che ci separa dall’ingresso, con risvolti tra l’angoscia e l’euforia.
E’ la prima volta che sono dentro per così tanto tempo e con una tale distanza. Sento schiacciante il peso della montagna sopra di me, ma la notte porta consiglio, e dopo un sonno tombale la domenica sono galvanizzato e la meraviglia prende nuovamente possesso del mio cervello.
Enormi karren lungo le pareti di una galleria (foto di L. Plan) Galleria fossile impostata su una zona di faglia (foto di L. Plan)
Oggi -mi dicono- il giro sarà sempre molto lungo… un’interminabile serie di gallerie, di nuovo scale e traversi, poi un pozzo da 15 m dove serve per forza l’imbrago (fortunatamente hanno portato l’unico che avevamo con noi, altrimenti toccava ritornare indietro e fare un’altra strada ancora più lunga), scendiamo con mezzo barcaiolo su corda sfregante, assicurano che va bene così… bene ma non benissimo, guai a contraddire chi ti ospita. Ma gli ambienti, seppur sempre monotoni, ripagano per la grandiosità e la bellezza delle forme scavate dall’acqua, così come i mastodontici e incalcolabili volumi di sedimento qui depositati.
Facciamo un giro ad anello ed andiamo a visitare anche l’attivo fino ad uno dei sifoni della grotta, dove ci dicono non sia mai stata tentata un’immersione. Partono i racconti su come, nel caso in cui la Hirlatzhohle venisse giuntata con un’altra grotta nelle vicinanze, si arriverebbe al complesso più lungo e più profondo al mondo. Qui esplorano da qualche anno speleo inglesi e tedeschi insieme al gruppo locale, nelle zone più remote a diversi giorni di progressione dall’ingresso, con lunghi campi interni a causa delle distanze davvero proibitive.
La fantasia ci rapisce ma in poco tempo dobbiamo ripartire perché la strada è ancora lunga per ritornare al bivacco… fortunatamente i sacchi sono svuotati da quasi tutto il materiale da campo e quindi è “quasi” un giorno di riposo con circa 13 ore di progressione.
Che dire… ancora ambienti pazzeschi e un continuo susseguirsi di gigantesche gallerie.
Arriva lunedì ed è il momento di salutare la grotta, la via del ritorno sembra infinita, tanto che all’uscita mi pare che possa essere già notte inoltrata e invece: la luce! Urla di gioia per essere sopravvissuti. Fantastica esperienza con nuove amicizie che hanno reso il tutto ancora più memorabile. Il giovanissimo sguardo di Andreas, provato ma felice, rammenta quanto di più profondo possano insegnarci i vuoti e il buio.
Credo che un’esperienza come quella che offre questa grotta sia raramente trovabile altrove.
Luca Pisani