l’Atlantide del Bolognese
Grotta del Farneto
Partecipanti: M. Dondi e M. Fabbri
Ennesima esplorazione nei rami inferiori della grotta per verificare le possibilità di prosecuzione del nuovo ambiente individuato la settimana scorsa. Partendo con nessuna speranza di successo, superiamo un improbabile passaggio in salita, posizionato in una crepa di misure ridotte dalla quale si sente un alito di vento, svuotandolo completamente dall’argilla e allargandone sufficientemente le pareti per riuscire a superarlo. E’ da li che riusciamo incredibilmente e magicamente ad entrare nelle fantomatiche Sale dei Modenesi.
Ci apprestiamo ad affrontare l’ennesima giornata alla Grotta del Farneto, continuando l’eterna ricerca delle fantomatiche Sale dei Modenesi, che si protrae già da parecchi anni. Anche oggi, è previsto un doppio programma: la prima parte della mattina la dedicheremo ai rami inferiori, per verificare le possibilità di prosecuzione del piccolo vano individuato la settimana scorsa da Minghino mentre demoliva il Collo d’oca all’inizio della parte cattiva nel Cunicolo Infernale, mentre il resto della giornata la dedicheremo ai rami superiori, nello svuotamento della condotta fossile nella Sala Quattro, sul turistico.
Una volta entrati, portiamo il grosso trapano e il sacco dei viveri di fronte alla condotta pensando di tornare sul posto al massimo dopo un paio di ore come nelle occasioni precedenti. Poi, con un solo sacco pieno degli attrezzi da scavo e la bussola, scendiamo nei rami bassi, percorrendo la prima parte del cunicolo motriglioso, superando la vecchia curva a “S” demolita la volta scorsa, che ora non esiste più, fino al vecchio Collo d’Oca. Arrivati in questo punto è ben visibile la mutazione dell’ingresso nella parte bassa del cunicolo, dopo le attenzioni di Minghino di sette giorni fa. Da qui, dopo averne allargato l’ingresso quanto basta, abbandoniamo la zona bagnata e saliamo nel piccolo ambiente da controllare. Non è amore a prima vista.
Vediamo sulla sinistra la piattina bianca legata ad un grosso masso che scende verso il basso. Chissà forse veniva utilizzata come sagola nel cunicolo sotto. Ci ritroviamo nel classico vano con il pavimento in parte in palladiana, invaso parzialmente da un crollo e per il resto con pareti di roccia compatta. Ci guardiamo negli occhi un pò sconsolati. Altezza un metro e mezzo circa, con misure 2×2. Non si sente aria. E’ solo quando ci alziamo in piedi, per quanto possiamo, che, infilando la testa in corrispondenza di una crepa che taglia a metà la stanzetta, percepiamo una corrente d’aria sulla faccia che arriva da entrambe le parti. Ci rendiamo subito conto che non è una disostruzione possibile senza un demolitore, che purtroppo non abbiamo portato. Il flusso d’aria che proviene dalla parte sinistra è più intenso, ma è quella con più roccia da rompere, che anche se marcia, è infattibile. Per un momento pensiamo di tornare alla nostra condotta nel ramo turistico, impazienti di provare anche la nuova punta a scalpello di 7,50 cm appena comprata su Amazon e di tornare meglio equipaggiati la volta prossima.
Decidiamo invece di perdere un pò di tempo e provare a lavorare la parte destra, dove si sente meno aria, ma è un pò più larga. Dopo averla ripulita da tutta la terra presente sulle pareti per guadagnare centimetri vitali, con mazzetta e scalpello ci alterniamo per grattare altro spazio. A circa due metri e mezzo di altezza, sopra le nostre teste, c’è un grosso sasso incastrato, che fa da diga ad un cumulo di sassi . Ci vuole un bel pò di tempo prima di riuscire a sbloccarlo e a farlo scivolare accuratamente sul pavimento della saletta. La via sembra mezza aperta. Valutiamo che la spaccatura, larga più meno 25 cm possa essere forzata. Mi infilo e inizio a strisciare tra le pareti cercando appoggi per le gambe penzolanti. Con l’aiuto della coscia di Minghino prima e della sua spalla dopo, riesco a passare con il torace la strettoia in salita, e a posizionarmi a circa tre metri di altezza. Sopra c’è un pò più spazio e l’aria che arriva in faccia ora è più forte. E’ qui che la fortuna ci viene incontro…
In questo punto e nella parte più avanzata del crepone, quella da dove proviene tutta l’aria, le pareti sono piene da argilla, sabbia, terra e ciottoli. Un vecchio passaggio dove l’acqua è transitata. In men che non si dica inizio ad allargare facendo rotolare sul pavimento della saletta una quantità enorme di detrito. Le misure di questo posto cambiano radicalmente. Svuotando anche il rametto da cui proviene l’aria si inizia a vedere un buchetto nero, che piano piano diventa sempre più grande. Una specie di “V” appare sopra la testa che, anche se distante solo 80 cm, si rivela irraggiungibile. Viene alla luce un grosso zocco di gesso che restringe decisamente il passaggio.
Non possiamo avanzare!
Ci prendiamo una pausa. Sono le 14,00 e pensiamo ad una variante. Prendiamo atto che per la sera nessuno dei due ha impegni, così abbandoniamo lo scavo. Andiamo a recuperare in Sala Quattro il sacco con il grosso demolitore a filo e quello dei viveri poi usciamo dalla grotta. Al cancello ci spogliamo, lasciando le tute al sole e in calzamaglia, raggiungiamo l’auto. Raggiunta la Ponticella, sotto lo sguardo incuriosito dei pochi passanti, andiamo a recuperare il demolitore piccolo con le batterie. Prelevo dal frigo una birra gelata e due ghiaccioli che ci gustiamo nel viaggio di ritorno. Tornati con calma al parcheggio, e all’ingresso della grotta, ci rivestiamo.
Arrivati alla Sala Tre pranziamo e successivamente torniamo sotto, nei rami inferiori. Riprendiamo a lavorare le pareti basse della spaccatura perchè venga superata agevolmente da entrambi, poi nella parte superiore utilizziamo un paio di batterie per rompere la roccia nella parte alta della crepa che invade la sezione e ci impedisce di passare. Il risultato è vicino ma lavorare dal basso il gesso compatto e con il braccio disteso, è faticoso. Le batterie non sono infinite e a metà dell’ultima ci fermiamo. Lo spazio sembra sufficiente per provare a passare così tentiamo. Teniamo la quarta con pò di carica per allargare meglio e con più efficacia una volta di là. Mi infilo e passo senza casco con spalle e torace ma il bacino non vuole saperne di uscire. Ci provo un paio di volte, mi contorco, ma in entrambe le occasioni resto incastrato. Sono praticamente di là per metà, ma in realtà non ci sono. Sono intrappolato in quella stretta morsa che non mi molla.
Vedo sopra di me una scritta in nero fumo. Leggo Palla. Chissà chi era… Mi manca un appoggio per forzare la strettoia. Così torna in aiuto Minghino con la sua spalla, sulla quale mi appoggio nuovamente e spingo forte forte, fino quasi a distruggergliela, ma alla fine riesco nell’intento.
Finalmente ci sono!
Vedo subito che si tratta di un ambiente importante, e penso alle Sale dei Modenesi, anche se ubicate in posto inaspettato. Non ci posso ancora pensare, deve passare anche Ming. Mi faccio allungare il trapano e centellinando la batteria demolisco dall’alto in modo efficace il perimetro dell’apertura per allargarla il più possibile, fino a quando anche quest’ultima non ci abbandona. Ora è Minghino che si deve superare per passare la spaccatura appena aperta, che per lui è una vera strettoia al limite. Giroprilla un paio di volte, con una gran voglia di farsi risucchiare dalle Sale quando finalmente, anche lui ci riesce. Siamo passati tutti e due e possiamo finalmente vedere dove siamo sbucati. L’ambiente davanti ai nostri occhi è ampio. Non si vede la fine della sala che si sviluppa in lunghezza per più di 40 metri e larga dagli 8 ai 10 metri. Ci rendiamo conto di essere sicuramente arrivati alle sperdute Sale dei Modenesi.
Il posto è asciuttissimo e sul pavimento ci sono molti buchi dovuti a crolli, che scendono sull’attivo, anche questo estremamente asciutto con grosse vasche adornate da palladiana. Una bellissima condotta ci accoglie nella parte iniziale. Giriamo tutta la prima grande sala, infilandoci un pò da tutte le parti. Perdiamo l’aria in quanto l’ambiente essendo vasto, non ci aiuta. Troviamo vecchie lattine arrugginite e parecchie scritte in nero fumo sulle pareti, che sembrano cancellate con il fango, che a quei tempi doveva essere presente in grandi quantità, e che ora si fa invece fatica a trovare. Riusciamo a leggere a malapena alcuni nomi, tra i quali Mario e forse Elena, poi un un Rob…. (I coniugi Cortelli ci hanno preceduto e non ci hanno detto nulla…!). Gli altri sono incomprensibili. Sembra quasi che gli ultimi visitatori di questi ambienti le abbiano volutamente sporcare per fare uno sgarbo ai rivali e renderle illeggibili agli esploratori futuri, per voler nascondere imprese fatte prima del loro arrivo.
Ci sono parecchi punti interrogativi ai quali dare risposta. Dove si trova lo scivolo di 9 metri, cioè la parte finale del Cunicolo Infernale, dal quale uscivano i vecchi esploratori? Inoltre si deve verificare se ci sono possibili vie di entrata dalle parti superiori delle Sale ed individuare il punto in corrispondenza con la Crepa Soffiante nella nicchia del cunicolo sotto; vedere se i Modenesi hanno tralasciato qualcosa nelle varie ispezioni di quegli ambienti visto che ci sono punti interessanti che sembrano proseguire in altre direzioni; entrare nella seconda sala e vedere se gli ambienti della foto dell’Ultima Thule corrispondono oppure no, per comprendere con certezza se anche i Bolognesi arrivarono fino al punto finale; ma soprattutto, ispezionare finalmente la fine dell’ultima sala, dove c’è l’attivo con la pozza con la concrezione che ha fermato i primi esploratori.
Chi realmente riuscì a raggiungerle tanti anni fa. Ed inoltre, un altro mistero… la foto dell’Ultima Thule, era relativa ad un’uscita di rilievo topografico nella Grotta del Farneto, come mi ha riferito Piso e quindi, se i nostri avi del GSB entrarono veramente in quegli ambienti e li rilevarono, dov’è finito il rilievo che è stato fatto negli anni Trenta?
Torniamo a noi, che nel frattempo stiamo girando quegli ambienti con pochissima luce e con le nostre batterie che stanno per esaurirsi. Troviamo la prosecuzione per la seconda sala, intercettando di nuovo l’aria. Ma a questo punto non proseguiamo e ci fermiamo soddisfatti di questa incredibile giornata, che abbiamo vissuto intensamente e torniamo verso l’uscita ripercorrendo il passaggio appena aperto. La discesa ora è un gioco da ragazzi e dopo esserci rituffati nella motriglia in pochi minuti siamo fuori dalla grotta. Sono quasi le 22,00 e sotto un cielo stellato arriviamo all’auto contentissimi per la risoluzione del grande enigma del Bolognese arrivata in modo casuale e soprattutto inaspettata. Neanche il tempo di spogliarci che la voglia di avvisare i compagni e gli amici prende il sopravvento. Con la tuta ancora calata sulle ginocchia a cercare di mettersi in comunicazione con loro, la maggior parte dei quali purtroppo irraggiungibili perchè impegnati sulle vette del Latemar.
Operazione Bertolani
Mitizzata come l’Atlantide del Bolognese (da Lupo), si conclude così, dopo quattro anni e ben circa 40 uscite esplorative, l’Operazione Bertolani che ci ha portato al ritrovamento delle mitiche Sale dei Modenesi. Abbiamo ispezionato ogni punto possibile della grotta, seguendo supposizioni e posizionamenti dei vari rilievi, aperto ogni possibile e impossibile buco potenzialmente interessante, domandandoci più di una volta dove potessero essere mai ubicati questi grandi ambienti, ma senza mai desistere dal conseguire il risultato finale.
Un sogno che ha occupato ed agitato alcune delle nostre notti di questi ultimi anni si realizza, dandoci la possibilità di poterlo afferrare ed accarezzare con sicurezza per non lasciarcelo sfuggire un’altra volta. Una spasmodica ricerca diventata ormai una vera e propria ossessione si concretizza, dopo l’ennesima uscita dall’esito improbabile, grazie alla grande determinazione e costanza di tutti coloro che vi hanno partecipato con continuità, divertendosi anche nelle situazioni più difficili e disagiate.
Ragazzi ce l’abbiamo fatta!! Un grazie a tutti, davvero grazie!! La ricerca non è finita… andiamo avanti!
PS
Una considerazione: sono passati quasi 50 anni da quando i Modenesi entrarono per l’ultima volta in questi ambienti. Come sappiamo bene le grotte nei gessi hanno l’attitudine a mutare velocemente e questo fatto spesso ce lo dimentichiamo. Quel passaggio poco sopra il Cunicolo Infernale, era stato visto da tutti noi che transitavamo da li per entrare poi nell’acqua, ma nessuno di noi lo ha mai tenuto in considerazione, perchè convinti che i Modenesi lo avessero già controllato con esito negativo. Ed è qui che abbiamo commesso l’errore. Vi entrarono sicuramente ma solo per legare la piattina al masso. Non provarono a fare nulla perchè la via che loro percorrevano era quella sotto, che a quei tempi era aperta e sicuramente in condizioni migliori rispetto quelle attuali.
Perché fare della fatica inutile quando esisteva già una percorso per arrivare bene a dove si voleva arrivare? Questo per farci ricordare che non bisogna mai pensare che chi è stato prima di noi in un posto abbia per forza trovato tutto. Un passaggio può sempre scappare oppure come in questo caso può non interessare.
Si pensava di dedicare le due grandi Sale a Mario Bertolani e ad Alfonso Pumo. Che ne dite?