Progressione in strettoia. Istruzioni per l’uso
di Graziano Agolini – GSB
Conservo una visione romantica della speleologia e dell’esplorazione in genere, che parte dal presupposto che è l’esploratore che deve adattarsi ai luoghi che attraversa… e non il contrario. Sempre più spesso però è modificato l’ambiente che si percorre (la grotta nel nostro caso) per renderlo più congeniale a noi…ai nostri limiti, alle nostre paure. Oggi la facilità di disporre di sistemi ad alta demolizione ha cambiato il rapporto degli speleologi con le strettoie. Un passaggio stretto in grotta è, forse troppo presto, osservato con l’intento di modificarlo, allargarlo, “aprirlo”, facendo ricorso a mezzi sempre più potenti ed efficaci… ma altrettanto distruttivi. Non sono un integralista che rifiuta il ricorso alla tecnologia per avanzare nei tratti ipogei esigui e difficili. Mi piace però confrontarmi ad armi pari con essi, questo sì. Il mio è solo un invito a considerare, prima di frantumare una strettoia, le nostre capacità e la nostra tecnica di progressione…senza barare, senza adeguare le regole del gioco alle nostre debolezze o alle incapacità che ci appartengono.
La domanda che sintetizza questa filosofia potrebbe essere: quanto riesco ad esplorare di quei bui nel calcare, senza modificare la loro natura e senza renderli alla mercé dei miei limiti?
Ognuno darà la risposta che crede. Voi capite però che le nostre risposte a questa domanda ci conducono lontano dalle strettoie, a fare considerazioni sulle pullulanti infrastrutture per permettere a tutti di godere delle bellezze naturali, e sulla moderna superstizione di democratizzare i “difficili” ambienti naturali (vedi l’adattamento turistico delle grotte) per renderli più amabili. Ma questo è un altro discorso, per ora occupiamoci di luoghi stretti e angusti… buona lettura.
In tutti manuali di tecnica speleologica, anche in quelli più riusciti, al superamento delle fessure solitamente sono dedicate poche righe. E questo è alquanto curioso, se pensiamo che la strettoia è forse l’ostacolo più frequente e difficile da superare. Una strettoia particolarmente complicata spesso conclude l’esplorazione di una cavità, cosa invece che non accade per le difficoltà connesse alla discesa di un pozzo, oggetto di gran parte delle discussioni di tecnica. Avendo col tempo, date le mie misure, capitalizzato una certa esperienza di progressione in ambienti stretti o strettissimi, vorrei qui dare, senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento, alcuni suggerimenti su come comportarsi davanti a ciò che considero: “una piacevole provocazione incastonata nella roccia”.
Definizione
Le strettoie sono dei restringimenti limite delle pareti, che s’incontrano lungo i percorsi sotterranei, nei quali, noi speleologi, per avanzare dobbiamo assumere particolari posture e compiere precise sequenze di movimenti. Possiamo, senz’ombra di dubbio, affermare che è l’ostacolo più tipicamente speleologico. Ad una prima generalizzazione possiamo dividerle in due grandi gruppi: strettoie verticali e strettoie orizzontali, a loro volta suddivisibili in strettoie a sezione orizzontale e strettoie a sezione verticale. Abbiamo quindi la seguente tipologia:
Strettoie orizzontali
- a sezione orizzontale
- a sezione verticale
Strettoie verticali
- a sezione orizzontale
- a sezione verticale
Le strettoie orizzontali in genere sono le più semplici da superare e, a meno che le loro dimensioni non siano davvero impossibili, o non vi sia acqua sul fondo, procedere in esse non presenta grosse difficoltà. Fra questo tipo di strettoie, quelle a sezione orizzontale (condotte, paleo corsi ecc.), sono il più delle volte caratterizzate da una base piatta e il nostro corpo è contenuto tra il pavimento e il soffitto, permettendoci di muoverci a pancia in giù (proni) o a pancia in su (supini). Sono queste certamente le posizioni più comode per avanzare all’interno di queste strutture, in quanto facilitano il rilassamento e la respirazione.
Più complicate invece sono le strettoie a sezione verticale tipo meandri, diaclasi, ecc., nelle quali, proprio per questa loro morfologia, siamo costretti ad infilarci distesi su di un fianco. Qui oltre a subire l’attrito dovuto alla forza di gravità che ci adagia sul fondo, subiamo anche il contrasto delle pareti che ci attanagliano lateralmente. La questione diventa poi ulteriormente complicata quando la base di queste strettoie è incisa da una fessura più stretta (come per es. per un’approfondimento di meandro), in questi casi il nostro peso tende ad incastrarci nella parte stretta, sul fondo e procedere diventa più faticoso e difficile.
Le strettoie verticali (meandri sfondati, accesso a pozzi, ecc.) sono forse le più difficili e faticose da superare, nonché le più pericolose. Se, come frequentemente avviene, in discesa sembra tutto facile, altra cosa è poi la risalita dove le difficoltà dell’andata si complicano all’ennesima potenza. Qui, la forza di gravità che prima ci aveva aiutato a procedere verso il basso, contrastando la resistenza della roccia che stringe, ora ci ostacola sommandosi all’attrito delle pareti.
Delle strettoie verticali, quelle a sezione verticale, sono le più complicate in assoluto, perché come spesso accade, in quelle strutture definite “buche da lettera”, il nostro corpo, adagiato su un fianco, è portato dalla gravità, a disporsi sul fondo della fessura, dove questa, di solito, si restringe ulteriormente. In questi casi è richiesta molta tecnica per avanzare senza incastrarsi.
Vi sono poi strettoie composte o complesse, i cunicoli o i ” budelli”, in cui il tratto stretto è lungo diversi metri e presenta un percorso misto orizzontale e verticale: in questi casi occorre dare il massimo.
Premesso che ogni fessura ha le sue peculiarità e che richiede un comportamento diverso legato al peso, all’altezza, al sesso e all’abbigliamento dello speleologo che l’affronta, si possono comunque organizzare in tecnica alcune accortezze d’ordine generale, utili alla progressione.
Psicologia
Affrontare una strettoia comporta un atteggiamento mentale molto diverso che affrontare un pozzo o un qualsiasi altro ostacolo sotterraneo. Sentiamo il nostro corpo completamente avvolto e stretto da ciò che in quel momento è l’ostacolo da affrontare.
Questo incide sui nostri movimenti, sulla nostra respirazione e anche sulla nostra emotività. Sentirsi avvinghiati, da fredde e umide pareti, che coattano i nostri movimenti e la posizione del nostro corpo, con una forza, quella della montagna, smisurata e imparagonabile alla nostra, produce un senso di frustrazione ed impotenza che ci fa paura. Soli con le nostre paure in quella situazione, ci prende l’affanno, il respiro aumenta e la cassa toracica, per immagazzinare più ossigeno, richiede maggior spazio di quello concessogli dal monte. Iniziamo a sentire i palpiti del cuore, un rumore per molti quanto mai inedito, e aumentano le preoccupazioni. Cominciamo a pensare che da quella scomoda posizione non ne verremo mai fuori, allora ci agitiamo, perdiamo la calma, ansiosi, non controlliamo più con la dovuta attenzione i nostri movimenti e c’incastriamo. Smettiamo di ragionare con l’idea di procedere e un pensiero fisso, martellante, occupa la nostra mente: ” Ce la farò a ritornare indietro?”. Poi per qualche fortuita sequenza di movimenti riusciamo a liberarci dalla presa e ne usciamo affermando che quel pertugio è troppo stretto per le nostre misure e forse per ogni altra stazza umana e allora da quel punto non si passa; sì, lì, in quel punto termina la grotta. Questa descrizione, di come molti si rapportano con le strettoie, mi permette di fare alcune considerazioni su quale deve essere l’atteggiamento mentale corretto innanzi ad una fessura. Prima di passare ai suggerimenti, vorrei però ancora far presente un’ultima caratteristica della relazione uomo-strettoia, assente in ogni altra difficoltà sotterranea: e cioé che la strettoia ci permette di desistere senza il timore di “perdere la faccia”, adducendo alle nostre misure e non alla mancanza di tecnica o alla paura, l’impossibilità di procedere. Ritengo che questo sia uno dei motivi per cui tante fessure non particolarmente strette o difficili, diventino per molti speleologi (senza un’attendibile ragione fisica) un passaggio inaccessibile, quando non l’estremo limite dell’esplorabile. Badate, non credo che sia una cosa irrilevante avere un alibi inconfutabile per rinunciare. V’invito a rifletterci su. E’ innegabile comunque che essere magro o essere di corporatura robusta, quando non addirittura obesa, ha il suo “peso” (giuro che il gioco di parole è casuale) nell’affrontare le strettoie. Contrariamente all’opinione più diffusa, io ritengo però che, chi rischia di più nel superamento dei punti stretti, è sempre il più magro, in quanto se lui s’incastra o si fa male, al di là del pertugio che ha fermato i compagni, non potrà contare sull’aiuto e l’assistenza di quest’ultimi. Ho avuto modo di sperimentare personalmente questa mia affermazione, almeno un paio di volte in strettoie molto complicate e lunghe e ho visto che, nonostante la buona volontà degli amici, ben poco hanno potuto fare per togliermi dall’impiccio in cui mi ero cacciato, solo la calma e la tecnica mi hanno permesso di ritornare da questa parte a scrivere quest’articolo. Quindi uno speleologo di costituzione media o robusta, può e dovrebbe azzardare di più rispetto alle sue misure, di chi invece è lo smilzo del gruppo. Ad ogni buon conto so che ai magri sarà sempre chiesto di azzardare oltre le possibilità dei compagni, per cui ad essi consiglio di affinare il più possibile la tecnica. La prima cosa da fare davanti ad una strettoia, specie se l’affrontiamo per la prima volta, è fermarsi davanti all’imboccatura e studiarla attentamente. Ho volutamente detto “studiarla”, perché occorre fare tutta una serie di precise valutazioni che vanno oltre un’accorta osservazione. Qualche minuto di sosta inoltre, è utile per rilassarci e per ritornare, magari dopo la fatica di un pozzo o di un meandro, con la respirazione ad un ritmo normale.
Che cosa studiare di un passaggio stretto?
Valutare le dimensioni medie del percorso, le sue tortuosità e la strettezza del punto più critico (ogni strettoia ha un punto critico, che può essere semplicemente il tratto più stretto, oppure il luogo nel quale c’è richiesto di modificare la posizione del nostro corpo per procedere)
E’ importante stimare con una certa esattezza la lunghezza della strettoia che ci sta davanti, per sapere quanto del nostro corpo sarà “inghiottito” dal percorso, al fine di aver ben chiaro, prima di entrare, quali parti del corpo dobbiamo controllare contemporaneamente. La valutazione della lunghezza è particolarmente importante poi per le strettoie verticali nelle quali intravediamo il pavimento, su cui appoggeremo i piedi per riposarci, o che adopereremo per spingerci al ritorno.
Connesso alla lunghezza, ma non solo ad essa, è la valutazione di come i compagni possono aiutarci per facilitarci il ritorno o intervenire in caso di difficoltà. Poter contare sull’ausilio di qualcuno è certamente una marcia in più e può essere un’incentivo ad “osare” molto.
Visto che non vogliamo vivere il resto dei nostri giorni oltre il restringimento che ci apprestiamo a superare, occorre fare previsioni sul ritorno. Per cui dobbiamo pensare a come si presenteranno quegli stessi ostacoli che vediamo dal nostro lato, presi dal senso opposto. Per alcune strettoie non ha eccessiva importanza il verso con cui le affrontiamo (testa o piedi), mentre per altre invece è fondamentale. Questo ci obbliga a valutare se all’interno della strettoia o subito dopo di essa, c’è permesso in qualche modo di girarci o se, in caso di ritirata, dobbiamo ripercorrerla a ritroso.
Infine, prima di infilarci dentro la strettoia, occorre percorrere mentalmente tutta la sequenza dei movimenti, le soste, le posture e le pieghe del corpo, che dovremo adottare per avanzare in essa. Quest’esercizio va fatto almeno due volte prima di tentare sul serio, e più la strettoia è impestata, più è necessario (fondamentale direi) ripetere mentalmente la tecnica che abbiamo deciso di utilizzare. Sono convinto che una strettoia si superi prima con gli occhi, poi con la mente ed infine col corpo.
Abbigliamento e attrezzatura
Deve essere il più sobrio possibile. Via naturalmente l’imbrago e tutto ciò che impiccia, compreso il casco e ciò che abbiamo nelle tasche. Niente cinghie, cinghine e cinghietti che s’impigliano in ogni minima asperità. Per alcune strettoie limite è necessario persino svestirsi per diminuire il nostro spessore, in quei casi consiglio allora di togliersi il pile o i maglioni che abbiamo sotto la tuta, per indossare quest’ultima sopra ai soli indumenti intimi. Ciò permette di non inumidire i vestiti che sono a contatto con la pelle e di avere all’esterno un abbigliamento in un unico pezzo intero, che in strettoia non si arriccia, facendo volume e mettendo a nudo la schiena o la pancia.
L’imbrago e gli attrezzi (moschettoni, discensore, bloccanti, bombola, ecc.) vanno tolti di dosso e collegati tra loro in un unico grappolo, che terremo, in mano, davanti a noi, o che ci faremo passare dai compagni, una volta superata la fessura. Così faremo con il casco, quando indossarlo c’impedisce di muovere liberamente la testa. In strettoia, con il casco in testa o in mano, è comunque importante spegnere il carburo onde evitare di bruciarci. Consiglio inoltre di lasciare la bombola ai compagni per non trovarci a respirare aria viziata di carburo, quando siamo impegnati in strettoia.
Se la strettoia è nuova, la cosa migliore è avanzare con una pila in mano o con il solo frontale elettrico ad elastico Petzl.
Nota per i super magri:
gli scarponi rigidi sono più ingombranti degli stivali, quindi in un’esplorazione in cui sappiamo di dover affrontare una strettoia vergine e/o particolarmente difficile, dobbiamo tener conto di questo. Personalmente, in grotta, adopero solo gli stivali, quindi non devo valutare il tipo di calzature da indossare, anche se mi è accaduto di dover affrontare scalzo certi restringimenti, perché il volume delle scarpe era d’impiccio ai movimenti delle gambe, ma sono davvero casi eccezionali.
La respirazione deve essere più tranquilla possibile, anzi direi ad un ritmo al di sotto della nostra norma.
Esiste una differenza sessuale nel modo di respirare: gli uomini generalmente adottano la respirazione addominale che coinvolge solo la base dei polmoni, le donne invece, per motivi legati alla maternità, sono portate ad usare di più la parte superiore dei polmoni (respirazione clavicolare). Visto che in strettoia le pareti spesso ostacolano la ventilazione, perché stringono ora sul torace e ora sul ventre, è bene imparare a adoperare entrambi i tipi di respirazione per far fronte comunque ai problemi che impone la montagna al nostro bisogno d’aria.
Un’accortezza da adottare sempre, è quella di vietare assolutamente, ai compagni che attendono, di fumare mentre noi stiamo affrontando il passaggio stretto, perché se la grotta aspira, rischiamo di respirare tutto il loro fumo in un luogo che esige una corretta e quanto mai tranquilla respirazione.
Controllare la respirazione significa controllare la tensione che la strettoia ci crea. Abbiamo detto prima, che è quanto mai necessario fermarsi qualche minuto, innanzi ad un punto particolarmente stretto. Questa sosta deve aiutarci ad annullare l’affanno indotto dalle fatiche che ci hanno portata fin lì ed a conquistare quel senso di calma e di tranquillità indispensabili per superare l’ostacolo. Solo controllando la respirazione e scacciando dalla nostra mente negativi pensieri d’incastri irrimediabili, riusciremo a rilassarci. Non abbiate quindi timore di sprecare del tempo, davanti al pertugio, per compiere quest’operazione, così facendo risparmierete energia quando sarete in strettoia ed è questo che conta veramente. Chi ha dimestichezza con lo yoga o col training autogeno l’utilizzi pragmaticamente. In strettoia ci s’infila soltanto quando si è rilassati, non prima.
La progressione
La progressione in strettoia richiede certo l’abilità e la coordinazione dei movimenti del nostro corpo. Ma tutto questo non fa parte a sé e, senza alcun legame con l’atteggiamento mentale, il controllo della respirazione e la calma descritte più sopra, la mera elencazione di come muoversi in fessura perde ogni efficacia. Oserei affermare che una buona gestione delle nostre emozioni conduce solitamente ad un corretto movimento in strettoia.
Calzare la fessura. La strettoia va vista come se fosse un abito e occorre quindi adagiarsi in essa cercando di sentire col corpo ogni sua forma e asperità. In strettoia la vista serve a poco, e se, come suggerito, abbiamo precedentemente studiato il passaggio, conosciamo ora ogni sua curva e protuberanza, tanto che possiamo procedere in essa ad occhi chiusi. Non è una metafora, suggerisco veramente di tenere gli occhi chiusiquando siete impegnati in strettoia: ciò aiuta moltissimo a sentire esattamente a quale parte del corpo il pertugio oppone resistenza, aiuta la concentrazione e migliora il controllo dei nostri arti. Se la strettoia è orizzontale c’infileremo preferibilmente a pancia in giù (come ho già detto prima, è la posizione più comoda, quella che permette meglio di riposarsi) e cercheremo di aderire il più possibile al pavimento.
La prenderemo preferibilmente di testa, poiché solo così ci è consentito di osservarne i punti deboli. Anche se è molto bassa, ma ampia lateralmente, ci sarà comunque consentito una vasta gamma di posture e movimenti che prima o poi risulteranno vincenti. Laddove è possibile è meglio tenere entrambe le braccia distese in avanti, questo permette di trasportare la nostra attrezzatura o il sacco e di procedere aggrappandosi alle asperità della roccia per tirarsi, come se ci stessimo arrampicando da sdraiati. Nelle strettoie orizzontali dove invece anche le pareti laterali stringono il nostro corpo, è meglio procedere tenendo un braccio disteso in avanti e l’altro lungo il fianco. Anche queste le possiamo prendere di testa, valutando però molto attentamente tutte le difficoltà di un ritorno a ritroso. In questi casi, come in tutte le strettoie difficili, consiglio di avanzare secondo la tecnica delle “piccole tratte”: qualche cm e poi retrocedere, di nuovo qualche cm in avanti superando il limite precedente e poi retrocedere ancora e così via, fintanto che non superiamo l’ostacolo. In questo modo, ripetendo il percorso (avanti e indietro) più volte a piccole tratte, memorizziamo la sequenza dei movimenti, ci abituiamo alle morsa della roccia, evitiamo di incasinarci e ne usciamo vincenti.
In condotte, con acqua o fango sul fondo, dove lo spazio acqua/fango e soffitto è molto basso, occorre procedere supini, ossia con la schiena sul pavimento e il viso rivolto in alto, questo ci dà la possibilità di respirare e diminuisce il rischio di inghiottire acqua o fango (è sottinteso che l’abbigliamento deve essere stagno).
Nelle strettoie orizzontali a sezione verticale avanzeremo distesi su un lato con un braccio lungo il corpo e con l’altro disteso in avanti. Il braccio che terremo lungo il fianco sarà quello in alto, mentre poggeremo sul terreno con l’ascella del braccio che teniamo proteso innanzi a noi, per liberarci il cammino da eventuali sassi, per trasportare l’attrezzatura o semplicemente per illuminare il cammino che attende.
Le strettoie verticali, come ho già detto, sono le più complicate e quindi richiedono più che mai l’uso della tecnica delle “piccole tratte”. Una strettoia in discesa non va mai (tranne casi rarissimi) affrontata con la testa in avanti, i motivi sono talmente evidenti e banali che esporveli sarebbe un’offesa al vostro buon senso. Quindi in queste strutture si entra sempre di piedi.
In alcune fessure verticali è necessaria la corda di sicura, perché non riusciamo a vedere cosa ci aspetta oltre e potremmo trovarci sotto il sedere un salto più fondo delle nostra altezza e fischiare giù come un sasso; perché la strettoia è lunga e le pareti sono lisce e senza appigli per tirarsi su; perché psicologicamente aiuta un casino. In questi casi (visto che ci siamo tolti l’imbrago perché “rompe”) consiglio di legarsi direttamente la coda al petto (all’altezza delle ascelle) con un bulino, posizionando il nodo di lato. La gassa deve essere stretta al torace in modo tale che, anche con entrambe le braccia distese in alto, la corda non si sfili. Imbragati bene e con compagni fidati che tirano, si fanno miracoli.
Laddove è possibile la nostra attrezzatura e il sacco ce li faremo passare dai compagni una volta che abbiamo superato il restringimento. Se però siamo soli, o non possiamo contare sull’aiuto degli altri, è bene tenere il sacco e ogni altro materiale davanti a noi e questo per almeno due buone ragioni: 1) se qualcosa si impiglia riusciamo a liberarlo meglio, se l’abbiamo davanti e vediamo come e dove si è impigliato; 2) se un tubolare che ci trasportiamo dietro si incastra e non riusciamo a liberarlo rischiamo, se non ci è possibile in qualche modo di girarci, di rimanere intrappolati anche noi. E’ accaduto, nel ’74, durante un disarmo all’Abisso Bagnulo, che un tizio, partito in anticipo per uscire, rimase imprigionato in un cunicolo perché il sacco che trasportava dietro al sedere si era impigliato, impedendogli di andare sia avanti che in dietro, sette ore dopo, grazie agli uomini dell’ultima squadra, poté finalmente liberarsi da quella trappola autocostruita.
Ultima nota
Non considerare balzana l’idea di una dieta dimagrante per adeguare le nostre misure alla strettoia che attende in esplorazione. Il pensare i nostri pasti in funzione dell’ostacolo ipogeo che vogliamo superare, è un ottimo allenamento mentale, una sorta di disciplina interiore (in senso zen), che ci condurrà innanzi a quelle pareti di roccia appena socchiuse, psicologicamente più ottimisti e più fiduciosi in noi stessi.
Riassumendo
La tecnica per superare le strettoie si fonda sul controllo della respirazione, sulla gestione delle nostre emozioni e su posture e movimenti calibrati del corpo.
Affrontiamo le strettoie allenandoci con costanza, come si fa per i pozzi e presto ci accorgeremo che quel buco, che prima sembrava angusto e stretto, altro non è che un passaggio superabilissimo, dove solo la nostra enorme paura o, peggio, la nostra presuntuosa mania di grandezza, s’impigliavano, impedendoci di passare.